Intervista a Riccardo Noury: “A Gaza c’è chi preferisce la morte a un nuovo sgombero”

Il portavoce di Amnesty Italia
«Un uomo sfollato ripetutamente e che ora è a Gaza City ha detto: “Quando Israele attaccherà la città, io e i miei figli resteremo seduti qui ad aspettare la nostra morte”. C’è bisogno che l’occupazione della città sia annullata»

Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia, saggista, una vita dedicata alla battaglia per il rispetto dei diritti umani in Italia e nel mondo.
Cosa c’è di nuovo nell’ultimo rapporto pubblicato da Amnesty International? Ci sono nuove testimonianze di qualcosa che nuovo non è: la deliberata campagna di riduzione alla fame portata avanti da Israele nella Striscia di Gaza, attraverso la sistematica distruzione della salute, del benessere e del tessuto sociale della vita palestinese. Per chiarire di cosa stiamo parlando: infliggere deliberatamente a un gruppo condizioni di vita intese a provocare la sua distruzione fisica è uno degli atti di genocidio previsti dall’articolo 2 della Convenzione del 1948. Tra le testimonianze più drammatiche, abbiamo dato spazio a quelle delle persone anziane e con disabilità, spesso trascurate dal racconto. Ci sono poi dati aggiornati sulle morti per malnutrizione.
Può parlarci di questi dati? Il 29 luglio l’Iniziativa per la classificazione integrata delle fasi della sicurezza alimentare ha diffuso un’allerta secondo la quale, nella maggior parte della Striscia di Gaza, il consumo di cibo era sceso a livelli così bassi da aver raggiunto la soglia della carestia e che il peggiore scenario possibile era già in atto a causa del continuo aumento del numero delle persone, tra le quali ormai oltre 100 bambine e bambini, morte di fame. Alle stesse conclusioni è giunto anche il Nutrition Cluster, secondo il quale a luglio erano stati accertati quasi 13.000 casi di ammissione ospedaliera per malnutrizione, il numero più alto su base mensile dall’ottobre 2023, almeno 2800 dei quali (il 22 per cento del totale) per malnutrizione acuta grave. Inoltre, da una valutazione condotta dal Centro satellitare delle Nazioni Unite e dall’Organizzazione delle Nazioni Unite per il cibo e l’agricoltura, pubblicata il 31 luglio, è risultato che l’86 per cento dei campi destinati in modo permanente alla semina era degradato dal punto di vista della fertilità e della densità a causa delle attività collegate al conflitto tra cui spianamenti, bombardamenti e colpi di artiglieria pesante. Questi campi si trovavano per lo più nella zona orientale della Striscia di Gaza. Due mesi fa, Amnesty International aveva denunciato che ciò che era rimasto di Khuza’a, a est di Khan Younis, dove si trovavano alcuni dei terreni più fertili della Striscia di Gaza, era stato raso completamente al suolo. L’impossibilità di accedere ai terreni coltivati, il loro danneggiamento o la loro distruzione hanno fatto sì che i prodotti della terra scarseggino e i vegetali, quando disponibili, si vendano a prezzi astronomici. Ovviamente, c’è chi sul posto specula sulla situazione: un chilo di pomodori costa oggi quasi 80 shekel (20 euro), venti volte di più rispetto al periodo precedente il 7 ottobre 2023.
A proposito della fame, come commenta le polemiche sulle cause del decesso di Marah, la ragazza palestinese evacuata da Gaza e poi morta in ospedale a Pisa? In primo luogo, un enorme plauso va al personale sanitario del Cisanello di Pisa, che ha fatto l’impossibile per salvarla, e al comune di San Giuliano Terme, che mercoledì ha organizzato il funerale di Marah. Secondo Netanyahu – colui che Trump definisce “un eroe di guerra” e che qualcosa con la guerra ha sì a che fare, ma essendo ricercato per tali crimini dalla Corte penale internazionale – nella Striscia di Gaza nessuno muore di fame. Quando di fame muore una persona palestinese ricoverata all’estero, evidentemente è un grosso problema. Così è successa una cosa che neanche George Orwell avrebbe immaginato. Dopo aver bombardato per 22 mesi gli ospedali della Striscia di Gaza in quanto “depositi di armi” e “nascondigli di Hamas”, uccidendo e arrestando centinaia di medici e altri operatori sanitari, le autorità israeliane hanno fatto circolare un certificato medico (con diagnosi di leucemia sbagliata, come appurato a Pisa) di uno dei pochi centri a malapena funzionanti, l’ospedale Nasser di Gaza City, che improvvisamente è diventato la bocca della verità. La verità è che nella Striscia di Gaza ricevere cure mediche adeguate è pressoché impossibile da tempo. E qualunque eventuale “patologia pregressa” (per usare un’espressione che andava di moda ai tempi del Covid), in quelle condizioni e se non mangi, diventa incurabile. Aggiungo una domanda: se in quel certificato medico (assumiamo sia vero) ci fosse stato scritto “ha fame”, Marah sarebbe stata evacuata?
Torniamo al rapporto e alle testimonianze. Abbiamo pubblicato racconti strazianti di madri che si sentono in colpa perché non sanno come dare da mangiare ai loro neonati. Di donne in gravidanza che non si alimentano e temono che il feto non sopravviva o che rinunciano ad avere figli pur desiderandoli. Poi ci sono i racconti delle persone anziane e con disabilità, che si sentono un peso per le loro famiglie. Come Aziza, che ha 75 anni: “Quando ci hanno sfollati, hanno dovuto spingermi su una sedia a rotelle. Nel campo dove ci troviamo, la fila per il bagno è lunghissima. Ho bisogno dei pannoloni, che sono estremamente costosi. Mi servono le medicine per il diabete, la pressione alta e il cuore e ho a disposizione solo confezioni scadute. Mi accorgo di essere come un neonato, ma sono loro, i miei nipotini, che meritano di vivere. Io sono solo un peso per mio figlio”. C’è poi Abu Alaa, 62 anni, sfollato dal campo rifugiati di Jabalya, che ha raccontato di mangiare una razione di zuppa di lenticchie, fornita da una cucina comunitaria, come unico pasto al giorno. Il pane è distribuito una volta alla settimana e deve essere razionato. Non assaggia nulla di dolce, neanche la frutta, da mesi. “Io posso sopportare la fame, i bambini no”. Sia lui che Nahed, 66 anni, hanno raccontato con infinita amarezza che la lotta per impossessarsi del cibo, frutto di quella scellerata decisione di Israele di affidare la distribuzione a una specie di vigilantes armati (la “Gaza Humanitarian Foundation”), abbia completamente cambiato la gente e i suoi valori. “In passato ci davamo una mano gli uni con gli altri, soprattutto aiutavamo le persone più bisognose. Succedeva anche all’inizio di questa guerra. Adesso la gente è guidata solo dall’istinto individuale della propria sopravvivenza”. Non solo Israele ha deumanizzato le persone palestinesi, ma le stesse persone palestinesi a causa della fame e della guerra stanno via via perdendo la propria umanità. Questo è terribile. Ma la testimonianza che ho trovato più straziante è quella di un uomo sfollato ripetutamente e che ora si trova a Gaza City: “In questa guerra sono stato sfollato già 14 volte, non sono più in grado di fuggire altrove, non ho i soldi per trasportare i miei due figli disabili. Mi fanno male i muscoli, sono troppo esausto per camminare io, immagina per trasportare i miei figli. Quando attaccheranno la città, resteremo seduti qui ad aspettare la nostra morte”.
Avete parlato anche col personale sanitario. Immagino in quali condizioni si trovi a lavorare. Ha descritto, cito letteralmente, “una distruzione stratificata e interconnessa, in cui un ospedale devastato che una volta era il più grande della Striscia di Gaza, ora a malapena operativo dopo i due grandi raid israeliani del novembre 2023 e del marzo 2024, è costretto a far fronte a fame, infrastrutture distrutte e bombardamenti costanti, col rischio di ulteriori sfollamenti in tende prive di igiene”. La stratificazione e l’interconnessione sono date dalla combinazione della mancanza di cibo, di medicinali, di acqua pulita e di igiene, cui si assomma il costante stato di paura e di disperazione. Persino le persone ricoverate per ferite lievi ci mettono tanto a riprendersi a causa della malnutrizione. Poi, i medici hanno sottolineato come la fame estrema e di massa abbia fatto passare in secondo piano altre emergenze sanitarie, soprattutto l’allarmante aumento delle infezioni e delle malattie trasmesse dall’acqua, delle meningiti e della sindrome di Guillain-Barré. Una “catastrofe invisibile”, l’hanno chiamata.
Può spiegare a chi sta leggendo di che si tratta? La sindrome di Guillain-Barré è una rara malattia del sistema nervoso che può risultare letale, a causa del danneggiamento dei nervi periferici. Si diffonde attraverso infezioni virali, come quelle che causano la diarrea. Può interessare tutti i sensi, causare debolezza muscolare, incidere sulla respirazione e sul battito cardiaco fino alla paralisi. Secondo il ministero della Salute della Striscia di Gaza, al 12 agosto erano stati registrati 76 casi, tutti nel mese e mezzo precedente: erano morte quattro persone, tra le quali due bambini. La terapia a base di immunoglobine per via endovenosa, il principale trattamento per la sindrome di Guillain-Barré, non è attualmente disponibile nella Striscia di Gaza per via del blocco israeliano. Se la malattia progredisce e raggiunge i muscoli dei polmoni causando difficoltà nella respirazione, il paziente dev’essere intubato. E come e con cosa lo intubi?
Cosa continuate a chiedere? Che, anziché chiacchierare del futuro (soluzione a due stati e cose del genere) o lavarsi la coscienza lanciando aiuti col paracadute in un modo inefficace e mortale, la comunità internazionale affronti il presente: c’è bisogno che l’occupazione israeliana di Gaza City sia annullata, che si arrivi a un cessate il fuoco davvero duraturo, che tutti gli ostaggi ancora nelle mani di Hamas tornino in libertà senza che siano più oggetto di trattative, che si scongiurino ulteriori trasferimenti di massa, che gli aiuti siano affidati a organismi competenti, che entrino e siano distribuiti in tutta la Striscia di Gaza senza impedimenti di alcun genere.
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